martedì, maggio 08, 2007

La 'marmocchia' che ricorda tanto Giulietta Masina

La grande cantante parigina Edith Piaf, sul letto di morte, ricorda la propria infanzia, vissuta in un bordello e poi al seguito del padre saltimbanco in giro per il mondo.
Una giovinezza sregolata fatta di esibizioni in night club, amicizia e scoperta del talento della ragazza da parte del padrone di un noto locale parigino.
Il successo come La Môme Piaf (
môme= 'marmocchio', piaf=’passerotto’) e subito dopo il declino.
La rinascita con il nome di Edith Piaf e la consacrazione a mito.
Un successo che non risparmia i dolori e sofferenze dell’essere mortali: la perdita di una figlia avuta in giovane età, la morte del grande amore, la dipendenza da droghe, gli incidenti stradali, l’alcolismo, la fragilità di costituzione di un corpo da scricciolo e la salute cagionevole.
Ma, nonostante tutto, un’innata, inestinguibile volontà di vivere.

Tutto questo ci fa rivivere un’attrice che più distante fisicamente dalla Piaf non potrebbe essere: Marion Cotillard, alta e convenzionalmente bella, come altre belle attrici prima di lei – vedi Nicole Kidman nei panni di Virginia Woolf in The Hours, o Charlize Theron nei panni della prostituta assassina Aileen Wuornos in Monster – affronta l’imbruttimento per poter ‘recitare davvero’.
Con risultati a dir poco sorprendenti: se Kidman faceva parlare di sé più per il naso posticcio che per l’interpretazione, Cotillard emerge dallo schermo come se la stessa Piaf avesse preso possesso di lei.
Notevole il lavoro fatto dall’attrice sia sulla fisicità che sulla gestualità della cantante, così come sulla voce e sulle espressioni del viso: un trucco pesante e carnevalesco e una postura perennemente ingobbita ci restituiscono la maschera tragica di una Piaf provata dalla malattia e dalla vita, profondamente autodistruttiva quanto ciecamente legata e appassionata alla vita, secondo una felice definizione di Charles Aznavour, artista che lei aiutò a raggiungere il successo.

Cotillard ci restituisce una Edith un po’ Masina: figura minuta, sorrisini da bambina dispettosa e occhioni tondi da uccellino che implora amore e pietà, di felliniana memoria.
Ottima performance di Emmanuelle Seigner nei panni di Titine, prostituta nel bordello dove Edith bambina passerà la parte più felice della sua breve vita, quasi una madre.
Due particine di rilievo per Clotilde Courau nei panni della madre di Edith e per Gerard Depardieu nei panni di Louis Leplée, scopritore del talento della ventenne Piaf e suo primo agente e mecenate.

Per quanto concerne la strutturazione della trama, è abilmente non lineare, basata su flashback e piani sequenza che alternano la giovinezza alla maturità, l’infanzia alla giovinezza.
Le età di Piaf si intersecano permettendoci di evidenziare un continuum narrativo che è tenuto insieme dalle canzoni immortali da lei interpretate, come La Vie en Rose, canzone scritta dopo la Seconda Guerra Mondiale, autentico inno all'ottimismo e all'impulso vitale post bellico, che presta il titolo alla versione della pellicola in italiano (il titolo originale è ‘La Môme’).

E, in extremis, un vero e proprio testamento spirituale: non je ne regrette rien.
La storia della sua vita.

(in odore di Oscar)

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