martedì, maggio 08, 2007

La 'marmocchia' che ricorda tanto Giulietta Masina

La grande cantante parigina Edith Piaf, sul letto di morte, ricorda la propria infanzia, vissuta in un bordello e poi al seguito del padre saltimbanco in giro per il mondo.
Una giovinezza sregolata fatta di esibizioni in night club, amicizia e scoperta del talento della ragazza da parte del padrone di un noto locale parigino.
Il successo come La Môme Piaf (
môme= 'marmocchio', piaf=’passerotto’) e subito dopo il declino.
La rinascita con il nome di Edith Piaf e la consacrazione a mito.
Un successo che non risparmia i dolori e sofferenze dell’essere mortali: la perdita di una figlia avuta in giovane età, la morte del grande amore, la dipendenza da droghe, gli incidenti stradali, l’alcolismo, la fragilità di costituzione di un corpo da scricciolo e la salute cagionevole.
Ma, nonostante tutto, un’innata, inestinguibile volontà di vivere.

Tutto questo ci fa rivivere un’attrice che più distante fisicamente dalla Piaf non potrebbe essere: Marion Cotillard, alta e convenzionalmente bella, come altre belle attrici prima di lei – vedi Nicole Kidman nei panni di Virginia Woolf in The Hours, o Charlize Theron nei panni della prostituta assassina Aileen Wuornos in Monster – affronta l’imbruttimento per poter ‘recitare davvero’.
Con risultati a dir poco sorprendenti: se Kidman faceva parlare di sé più per il naso posticcio che per l’interpretazione, Cotillard emerge dallo schermo come se la stessa Piaf avesse preso possesso di lei.
Notevole il lavoro fatto dall’attrice sia sulla fisicità che sulla gestualità della cantante, così come sulla voce e sulle espressioni del viso: un trucco pesante e carnevalesco e una postura perennemente ingobbita ci restituiscono la maschera tragica di una Piaf provata dalla malattia e dalla vita, profondamente autodistruttiva quanto ciecamente legata e appassionata alla vita, secondo una felice definizione di Charles Aznavour, artista che lei aiutò a raggiungere il successo.

Cotillard ci restituisce una Edith un po’ Masina: figura minuta, sorrisini da bambina dispettosa e occhioni tondi da uccellino che implora amore e pietà, di felliniana memoria.
Ottima performance di Emmanuelle Seigner nei panni di Titine, prostituta nel bordello dove Edith bambina passerà la parte più felice della sua breve vita, quasi una madre.
Due particine di rilievo per Clotilde Courau nei panni della madre di Edith e per Gerard Depardieu nei panni di Louis Leplée, scopritore del talento della ventenne Piaf e suo primo agente e mecenate.

Per quanto concerne la strutturazione della trama, è abilmente non lineare, basata su flashback e piani sequenza che alternano la giovinezza alla maturità, l’infanzia alla giovinezza.
Le età di Piaf si intersecano permettendoci di evidenziare un continuum narrativo che è tenuto insieme dalle canzoni immortali da lei interpretate, come La Vie en Rose, canzone scritta dopo la Seconda Guerra Mondiale, autentico inno all'ottimismo e all'impulso vitale post bellico, che presta il titolo alla versione della pellicola in italiano (il titolo originale è ‘La Môme’).

E, in extremis, un vero e proprio testamento spirituale: non je ne regrette rien.
La storia della sua vita.

(in odore di Oscar)

giovedì, aprile 19, 2007

Amarcord - Due anni di Ratzingerate (fatti e opinioni)

Il 19 aprile di due anni fa, dopo due giorni di conclave serrato e insopportabili fumate nere, la fumata bianca tanto attesa: neo eletto al soglio papale è un cardinale teutonico, al secolo Joseph Ratzinger in Benedetto XVI.
Un papa che sceglie di deviare dalla poetica del suo predecessore.
Che si auspica il ritorno della messa in latino.
Il papa che sceglie di parlare al popolo dei colti e dei latinisti anzichè a quello delle masse, a quel popolo che tutt'oggi, come scriveva Belli nel 1836, se sentissero una messa in latino interpreterebbero 'magna' come invito al cibo.

In un periodo storico dove, forse, la Chiesa avrebbe bisogno di essere svecchiata.

domenica, aprile 01, 2007

Olmi - Inchiodare i libri per non farsi inchiodare da loro

Avviso ai potenziali spettatori: non siamo di fronte al solito predicozzo religioso vòlto alla celebrazione entusiastica della Chiesa Cattolica.
Per due ragioni.
La prima è che quest'opera, di religioso, non ha proprio nulla: più consono sarebbe parlare di morale, ma anche questo termine le calzerebbe stretto.
Quello che è il termine di riferimento profondo e autentico del film è l'umanità.
Quella vera, che bestemmia in dialetto, si riunisce attorno ad una tavola di legno grezzo chiaccherando e usando le semplici e chiare parole del popolo, e mette insieme le proprie forze per dare una mano ad uno dei suoi componenti.

Invece di adottare come motivo portante una qualche esaltazione incondizionata della religiosità-spiritualità, un regista fortemente cattolico come Olmi opta per il racconto di una fuga.
La fuga di un intellettuale intriso di filosofia e saperi letterari da un'umanità di carta verso un'umanità di persone. L'umanità ruspante degli abitanti delle sponde del fiume Po, avida di apprendere dalla voce di un professore in esilio volontario gli insegnamenti dei libri sacri.
Un'umanità che ha più da insegnare che da imparare.

La seconda ragione per la quale quest'opera non è una celebrazione della Chiesa cattolica è che è, al contrario, una sua denuncia.
Non della Chiesa tout-court, ma di quella sua evoluzione che ha seguito la morte di Woityla Giovanni Paolo II e riguarda la successione di papa Benedetto XVI, tanto concentrato sulla dottrina quanto il predecessore era concentrato sulla massa dei fedeli.
La poetica visiva e ideologica di Olmi lancia strali contro la nuova Chiesa, quella che medita di riportare in auge l'antiquata - e pessima - usanza della messa in latino, messa al bando dal Concilio Vaticano Secondo, quella che si aliena dall'ecumene dei fedeli alla ricerca dei propri principi fra le righe di libri troppo polverosi.
Ci si augura un ritorno a Giovanni XXIII, e a quei discorsi alla luna che non hanno mai smesso di emozionare generazioni di credenti e non credenti.
Un ritorno agli ideali evangelici originari, quelli della mensa povera ma ricca perchè presieduta da uomini che mangiano e bevono insieme, il cui rapporto è suggellato dal pane e dal vino.
Pane e vino frutto di un miracolo non fine a sè stesso, ma volto allo stare insieme e al piacere di farlo.

Quattordici apostoli riuniti attorno ad una tavola con vista sul Po, ad ascoltare le parabole immortali di un professore di filosofia che ha deciso di cambiare vita, e si è seduto alla mensa dei poveri.
A dare corpo all'intellettuale, un Raz Degan che supera ogni aspettativa, doppiato dal suo sosia fisico Adriano Giannini, perfetta incarnazione di un Cristo denoantri.
Attorno a lui, apostoli che nella vita non sono attori professionisti ma gente comune dai tanti mestieri e dalle tante realtà, gli unici in grado di dare un volto cinematografico a sè stessi.

Un Po che sembra un paradiso terrestre un po' selvaggio, trasfigurato da una fotografia magistrale che si concentra su riflessi d'acqua, sorprendenti lune piene di primo mattino, luci d'alba e piogge battenti sulla superficie del fiume.
Inquadrature che indugiano su primi piani del ruvido e bellissimo volto del protagonista così come sulle lentiggini e sugli occhi da bambina della ragazza che di lui si invaghisce, giovane inserviente in una panetteria di paese che non ha mai ricevuto un vero abbraccio.
Come lui, digiuno di tenerezza che, alla fine di questo suo esilio, capisce che tutti i libri del mondo non valgono "una carezza", "un caffè con un amico".

mercoledì, marzo 28, 2007

Berti not in my name - I giovani per l''Autoformazione' della Sapienza non ci stanno

Fedelmente riporto qui il testo di un volantino lasciato nelle aule della Facoltà di Lettere e Filosofia alla mercè di studenti e insegnanti curiosi.

Berti not in my name
C'era una volta il partito della non-violenza. Il suo segretario sosteneva che, per uscire dal Novecento, i movimenti dovevano essere pacifici.
Novecentesco non è conservare la vigenza della forma-partito laddove ha cessato di essere valida, ma mettersi un casco per ripararsi dalle manganellate della polizia era posto sullo stesso piano della strage dei kulaki.
Oggi quel partito è al governo: in appena dieci mesi, di guerre ne stanno facendo due. Oggi quel segretario è presidente della camera. Oggi quell'appello alla non-violenza si dimostra per quello che era fin dall'inizio: un tentativo di deprivare i movimenti della loro autonomia, per subordinarli al sistema della rappresentanza politica.
Con linguaggio orwelliano, ci raccontano che stanno facendo la guerra per costruire la pace. Col linguaggio della ragione, rispondiamo che non esistono guerre buone e guerre cattive: unilaterali o multilaterali, sotto l'egida dell'amministrazione Bush e dell'ONU, le guerre sono dispositivi costituenti dell'ordine imperiale.
C'è chi è complice, e c'è chi si oppone.
Tutto il resto sono chiacchere. E oggi, più che mai, le chiacchere stanno a zero.
Quello stesso partito, i suoi ministri e quello stesso segretario, raccontavano che avrebbero 'superato' i lager per migranti, al secolo centri di permanenza temporanea. Non uno ne è stato chiudo: i movimenti che li combattono - com'è successo a Bologna - trovano sulla loro strada i manganelli non-violenti della polizia.
Raccontavano che avrebbero 'superato' la precarietà. La legge 30 e la legge Moratti godono invece di ottima salute. Raccontavano che avrebbero 'superato' il 3+2. Nelle università non è cambiato nulla. Raccontavano che avrebbero 'superato' la Fini-Giovanardi. Le sole cose andate in fumo, sono le loro promesse.
L'unico superamento, reale, lo abbiamo praticato noi, nella radicalità del conflitto e della diserzione, nel rifiuto dei saperi di guerra e delle strutture della rappresentanza. Attraverso i percorsi di autoformazione e le lotte, nell'autogestione della produzione dei saperi e nelle occupazioni, abbiamo cominciato a costruire un'università autonoma metropolitana.
Non un'altra università, ma l'unica possibile: quella dell'autonomia del sapere vivo nella metropoli produttiva.
Non abbiamo bisogno di 'un'altra riforma possibile', perchè stiamo già praticando la nostra autoriforma. Perchè le nostre forme di vita sono irrapresentabili, si muovono in altro tempo: non riuscirete mai a catturarle perchè siamo veloci, flessibili e imprevedibili.
Potete anche seguire i consigli del 'Corriere della sera', che vi suggerisce di fare ciò che il PCI non volle: essere agenti di inclusione democratica dei movimenti.
Trent'anni fa Lama e l'arroganza di PCI e sindacato venivano cacciate dall'università di Roma. Si sa: quando la storia si ripete due volte, la prima lo fa come tragedia, la seconda come farsa. Oggi in nome di un rinnovato compromesso storico l'ex segretario e attuale Presidente della Camera viene a Lettere, invitato da Comunione e Liberazione, legittimando un'organizzazione che gli studenti di questa facoltà hanno sempre ripudiato.
Il tentativo di cattura e cooptazione, all'insegna di una governance all'amatriciana, è proprio questo: una farsa. Siete destinati alla sconfitta. Avete già perso.
Perchè la costruzione di autonomia significa innanzitutto estraneità al sistema della rappresentanza. Autoformazione e autogestione dei saperi significano esodo e conflitto.
Perchè noi siamo la forza dell'autonomia dei movimenti, voi la violenza della rappresentanza.
Lasciate stare il Corrierone, seguite il nostro di consiglio: andatevene.

Rete per l'autoformazione

martedì, marzo 27, 2007

Il fenomeno Scamarcio - E' questione di archétipi

I ricci neri, gli occhi verdi, l'aspetto da bel tenebroso: tutto sembra concorrere, in questo ragazzo, ad una fama da bullo con il cuore.
Uno di quei giovanotti che ogni ragazza del passato e del presente, sotto sotto, desiderebbe conoscere.
Uno di quei galletti con giubbotto di pelle e moto di grossa cilindrata con l'aria da dandy, da ribelli, da stronzi e chi più ne ha più ne metta.
Ci si chiede come un ragazzo di 27 anni, uno dei tanti, possa sollevare una simile adorazione nazionalpopolare da parte di un esercito incallito di teenagers con blocco e penna per autografi in una mano e opere mocciane nell'altra.

Non è un bello e impossibile, malgrado la fama.
Fidanzato con una donna più grande di lui e non bellissima come Valeria Golino, un ragazzo che non si sottrae alle orde di fan e cerca di dispensare sorrisi a tutte, senza distinzioni.

Per rendersi conto della portata del femoneno Scamarcio, per il quale si potrebbe iniziare a parlare di scamarcismo, basta girovagare per il web e raccogliere commenti di sconosciute e giovanissime navigatrici.
Su Kataweb, Veronica scrive "scamy t v tr bene 6 un ottimo attore!!!", mentre kiara28 si lancia in un "scami sei la mia vita 6 troppo bello ti amo da morire spero che lo leggerai baci kia".

Ragazze che sono andate al cinema o in libreria, e hanno fruito le opere mocciane proiettandovi i propri sogni, desideri, speranze.
Eppure, poche di quelle ragazze lo hanno notato nel ruolo di Romanzo Criminale, nel quale era pure un 'cattivo ragazzo', di quelli che le mamme metterebbero al bando.
Certo, il film era di Michele Placido e il libro di Giancarlo de Cataldo, autori di target diverso rispetto a quello luciniano e mocciano.
Per non parlare del fatto che il caso Moccia è uno dei pochi casi nei quali la trasposizione cinematografica del libro non ha oscurato l'originale cartaceo.
Il film di Lucini non entrerà nella storia della cinematografia italiana e mondiale.
Il libro - anzi, i libri - di Moccia sono già entrati a pieno titolo nella bibliografia italiana preferita dai gggiovani, quelli con tre g, come già era successo a Porci con le ali.
Nessun giudizio di valore sui libri dell'autore, ma riconoscimento di un successo di pubblico e vendite che ha pochi eguali in Italia.

Il povero, si fa per dire, Scamarcio è rimasto invischiato in tutto questo.
Da bulletto della generazione mocciana a 'Uomo perfetto' nel 2005, al cinema e per tante adolescenti.
Quelle dei messaggini con la k e dei lucchetti a Ponte Milvio che, fra parentesi, non sono un'invenzione mocciana.
Riccardo è stato coinvolto nello starsystem giovanile a soli 23 anni, e forse allora non aveva idea della portata della fama che avrebbe dovuto sobbarcarsi per i successivi tre anni.

Lancio lì una proposta, più o meno opinabile: anzichè continuare a fondare fanclub di 'Scamy', che attualmente proliferano come funghi, fondiamo una Lega Liberazione Scamarcio.
Facciamolo per il suo, per il nostro, bene.

lunedì, marzo 26, 2007

Articolo di fondo (<1800 battute) - Il voto di domani

Afghanistan, 19 marzo – Il giornalista di Repubblica Mastrogiacomo è liberato dalla prigionia talebana grazie all’intervento di Emergency, senza l’intercessione ufficiale degli USA e trattando con i rapitori: è presto polemica, sia estera che interna.
Dall’estero arrivano bacchettate da USA e Regno Unito, che considerano un segnale pericoloso l’accettare condizioni imposte da criminali che potrebbero sentirsi legittimati a perseverare nelle loro azioni.
Duro, in proposito, anche il portavoce ONU in Afghanistan, che non intende scendere a compromessi coi talebani.
Ad aggravare ulteriormente la situazione, la spaccatura interna al governo come nell’opposizione.
Domani, il Senato voterà per il rifinanziamento della missione in Afghanistan.
Votano sì il centrosinistra, ad eccezione dei dissidenti Rossi e Turigliatto, e l’UDC di Casini.
Il ‘tradimento’ di quest’ultimo ha creato scompiglio nel centrodestra: AN esorta Casini alla chiarezza e Berlusconi, conscio del rischio di spaccatura della propria coalizione quanto allettato dalla possibilità di una crisi di governo, medita.
Medita se essere coerente al patto con gli USA, ai quali si deve garantire la presenza di un contingente italiano in Afghanistan, oppure tentare di ribaltare il governo.
Opta per l'astensione, soluzione meno rischiosa.
Prodi, intanto, si dichiara non preoccupato per domani, D’Alema incalza l’opposizione mettendo in risalto l’esito vergognoso di un no in Senato e Giorgio Napolitano sottolinea la necessità di un’intesa governo-opposizione sulla politica estera.
Intesa necessaria se le controparti non vogliono continuare a farsi ostruzionismo trascurando questioni realmente importanti per il Paese.

Sapienza - Studenti fischiano Bertinotti

E' accaduto stamattina, due ore fa, all'ingresso del Presidente della Camera Fausto Bertinotti, approdato al primo ateneo romano in occasione di una conferenza in merito ad un progetto presentato dagli studenti, riguardante cooperazione e sviluppo in territorio brasiliano.
Il Presidente, in qualità di autorità pubblica che proprio poche settimane fa si è recata in visita in Sudamerica, è stato invitato a prendere parte all'incontro finale di questa iniziativa culturale.
Iniziato nel segno della mancanza di rispetto.
All'arrivo di Bertinotti nella Facoltà di Lettere e Filosofia, che ha ospitato l'iniziativa, l'accoglienza è stata di striscioni offensivi e urla.
"Assassino assassino assassino!" gridavano i circa 50 studenti responsabili dell'accaduto.

Ma lo spiacevole avvenimento non ha privato il presidente della gioia di essere presente in quest'occasione.
Di politica, ma anche di umanità.

venerdì, marzo 23, 2007

Quando l'Erasmus non c'era - Storia di una rivoluzione

Interessante, a questo proposito, un articolo pubblicato su Cafè Babel:

20 anni di Erasmus. «Ma insufficienti le borse di studio»

Nome: Erasmus. Data di nascita: 1987. Luogo: Bruxelles. Le istituzioni europee sono fiere della loro creatura. Ma resta tanto da fare.
Se Erasmo (da Rotterdam) sapesse... (Blond avenger/flickr)
«L’Erasmus è il simbolo di ciò che l’Europa fa meglio. Un’Europa concreta, attenta ai risultati».
Josè Manuel Barroso non lesina gli elogi per il programma universitario di scambio europeo che festeggia quest’anno i 20 anni di vita. Nel 1987 solo 3000 pionieri si lanciarono nell’avventura di andare a studiare per un semestre o due all’estero. Oggi, ogni anno, sono circa 150.000 i giovani che scelgono di partire per un’altra università. In 20 anni di attività la cifra raggiunta è quella di un milione e mezzo di studenti-viaggiatori che hanno solcato i banchi delle facoltà europee di Salamanca, Vienna o Parigi.

Un’idea partita da un'associazione giovanile

Verso la metà degli anni Ottanta l’Europa si fondava sull’industria, sul commercio, sul libero scambio. Ma non riusciva ad avvicinare i cittadini. E lo spirito europeo ristagnava. Come svegliarlo, in particolare nelle nuove generazioni che rappresentavano il futuro, oltre che il presente, dell’Europa, quelli nati e vissuti da sempre all’interno dell’Unione Europea? Risposta: attraverso l’istruzione.
È l’Associazione degli stati generali degli studenti d’Europa o Aegee, all'epoca guidata dal 27enne Franck Biancheri che, per prima, propone il progetto Erasmus. Il presidente francese François Mitterand si convince e sostiene l’idea in seno alle istituzioni europee. Qualche mese dopo il programma di scambi interuniversitari vede la luce con il nome di “Erasmus”.

E tutti sognano l'“appartamento spagnolo”

Durante questi primi 20 anni sono stati i francesi ad aver partecipato maggiormente al programma, con poco più di 217.000 studenti partiti per l’estero, seguiti molto vicino da tedeschi (216.000) e spagnoli (191.000). La destinazione preferita dei candidati alla partenza resta la Spagna, che accoglie una media di circa 25.000 studenti Erasmus ogni anno.
Il clima, come del resto la vita notturna della penisola iberica, resi popolari dal film di Cédric Klapisch, L'appartamento spagnolo, non sono probabilmente estranei a questo entusiasmo generale. Le avventure del gruppo di studenti stranieri a Barcellona (ritratto nel film), ha forse addirittura innalzato il soggiorno Erasmus al rango di simbolo della vita studentesca spensierata e cosmopolita. Alcune destinazioni sono meno quotate, come il Regno Unito, l’Olanda o l’Irlanda.

Un passaporto chiamato ECTS

Nel 2004 il programma Erasmus è diventato ancora più internazionale grazie al suo gemello, Erasmus Mundus. Il principio è quello di far partire alcuni studenti europei molto qualificati verso un Paese terzo e viceversa. Un centinaio di corsi di Master europei hanno già ricevuto la certificazione di “Erasmus Mundus”. L’ambizione è rendere l’Unione Europea terra di studi riconosciuta in tutto il mondo per la sua qualità eccellente, in conformità con il piano strategico di Lisbona che vuole rendere l’Unione «da qui al 2010, l’economia della conoscenza più competitiva e più dinamica del mondo».
Altro vantaggio: l’Erasmus ha favorito l’omogeneizzazione dei corsi universitari europei con il sistema di 3+2 – laurea triennale (in francese licence e in inglese bachelor) e specialistica – oltre ai famosi crediti formativi europei riconosciuti ovunque, gli Etcs (sigla inglese per “Sistema europeo di trasferimento di crediti formativi”). Si prevede che tra qualche anno 45 paesi in tutto il mondo dovranno allinearsi a questo sistema per favorire gli scambi studenteschi. Con gli ECTS non c’è più bisogno di dar battaglia a segreterie e amministrazioni per vedersi riconoscere i voti ottenuti durante il proprio soggiorno all’estero. Almeno sulla carta. Infatti l'Erasmus Student Network ha reso noti dati secondo i quali solo la metà degli studenti Erasmus avevano ricevuto pieno riconoscimento degli studi fatti all'estero.
Inoltre l’esperienza acquisita da questo periodo di espatrio è generalmente considerata come un investimento per la vita professionale. Secondo uno studio condotto dall’Unione Europea, il 60% degli ex-studenti Erasmus ritiene che il loro soggiorno sia stato di grande aiuto al momento del primo rapporto lavorativo grazie alle competenze linguistiche apprese, oltre che per una certa apertura mentale acquisita. Alcune grandes écoles francesi – Sciences Po o Ingegneria – hanno reso il soggiorno all’estero obbligatorio.

Ma solo l'1% riesce a partire

Ma non è tutto oro quel che riluce. Il successo di questo programma di scambi, pur concreto, non è privo di difetti. Solo l’1% della popolazione studentesca riesce a partire. Per il periodo 2000-2006 sono stati stanziati 930 milioni di euro per il programma: l’equivalente, in media, di una borsa di studio di circa 150 euro al mese per ogni studente. Una cifra rimasta invariata dal 1993. E che non si è adeguata all’aumento del costo della vita e degli affitti.
Un altro difetto, la borsa di studio non distingue il costo della vita a seconda del Paese di arrivo. Ma tra Bucarest e Oslo la differenza è grande… Jan Figel, Commissario europeo all’Educazione dichiarava a dicembre che «il contributo delle borse Erasmus è troppo esiguo per permettere agli studenti provenienti da contesti economicamente svantaggiati di partecipare al programma».

Ma le istituzioni europee sono molto ambiziose. E progettano di far partire dal 2007 al 2012 un milione e mezzo di studenti: tanti quanti sono partiti in 20 anni. Per fare ciò sono stati stanziati 3,1 miliardi di euro. Resta però il fatto che l’istruzione non è ancora una vera priorità dell’Unione Europea: il 40% delle risorse, la parte più considerevole del budget, è ancora riservata all'agricoltura con la famosa Politica Agricola Comune.

giovedì, marzo 22, 2007

Università 'La Sapienza', MST e AVSI - Un'intervista

Università La Sapienza, primo pomeriggio - Atrio della Facoltà di Lettere e Filosofia.
Gruppetti si affollano curiosi davanti ai pannelli di una mostra che è tutta frutto del lavoro di un team studentesco e di alcuni specialisti in campo, allestita grazie ai fondi erogati dall'Università in qualità di 'iniziativa social-culturale promossa dagli studenti'.
Due ragazze sorridenti e un progetto teso a far conoscere in Italia, almeno in ambito universitario, la contradditoria natura brasiliana e, in particolar modo, la realtà delle favelas, i movimenti sociali e politici - il già citato MTS - e i progetti indirizzati alla cooperazione e sviluppo sul territorio locale, come il progetto 'Ribeira Azul' AVSI.
Un progetto risultante dai rapporti, oltre che economici, umani.

D: Perchè proprio un progetto sul Brasile, considerato che il fenomeno dei 'sem terra', così come quello delle favelas-bidonville, riguarda anche altri paesi, e non è un'esclusiva brasiliana?
R: La motivazione è che il progetto ha funzionato, con riconoscimenti a livello istituzionale - Banca Mondiale, Governo Italiano, Cooperazione Internazionale - e quindi esisteva già una mostra su questo argomento, che noi abbiamo voluto portare in università.

D: Cosa studiate?
R1: Cooperazione e sviluppo. Quindi un tema come questo era un'occasione per verificare nel concreto quello che ho in mente di fare come lavoro e studio.
R2: Filosofia.

D: Come è stato possibile, nell'attuazione pratica, realizzare questo progetto?
R: Ogni anno l'università mette a disposizione di fondi destinati alle iniziative proposte dagli studenti - quest' anno
fino a 12.000 euro, mentre l'anno scorso, quando abbiamo partecipato, fino a 15.000 - noi abbiamo presentato il progetto e ha riscosso molto successo ed entusiasmo.
Più avanti, abbiamo avuto l'idea di fare un incontro su questa mostra, quindi abbiamo chiesto ai professori dell'università di partecipare e ci hanno aiutato a realizzare la mostra.
Inoltre, abbiamo chiesto di partecipare all'incontro anche agli esponenti dell'ONG (Organizzazione Non Governativa, ndr) italiana AVSI - Associazione Volontaria Servizio Internazionale - e gli abbiamo chiesto allo scopo di far venire relatori anche dal Brasile (Cleuza Ramos, attivista dei Trabalhadores Sem Terra della sezione di S
ão Paulo, ndr).

D:
Quanto questa mostra mette in luce i rapporti, ormai secolari, fra Italia e Brasile?
R1: La mostra riguarda unicamente un progetto di cooperazione nel risanamento delle favelas, ma è stato realizzato in partnership con la cooperazione italiana, del governo locale e dell'Unione Europea, quindi il Governo Italiano si è interessato all'iniziativa.
Inoltre, abbiamo saputo che il Presidente della Camera Fausto Bertinotti è stato un mese e mezzo fa in loco ed è rimasto colpito da questa situazione.

R2: La presenza dell'Italia attraverso l'ONG AVSI, presente in molte città del Brasile da oltre trent'anni, e il fatto che ci siano italiani che si interessano realmente ai problemi del paese sono dati che vanno presi in seria considerazione.
Sono trent'anni di storia insieme, durante i quali hanno costruito e costruiscono insieme.
Gli italiani sono tanti, hanno realizzato molti progetti in svariate zone, e tutto questo è espressione di un legame che indubbiamente esiste.
Anche quegli italiani che noi abbiamo conosciuto, che sono stati lì dieci anni e sono tornati in Italia, hanno tuttora rapporti con i loro 'cugini' brasiliani, e si rivedono ogni due anni quando tornano giù in Brasile: questo proprio perchè sono nati dei rapporti, delle storie.

D: Come vedete una futura collaborazione fra Italia e Brasile?
R: Bertinotti ha dichiarato, dopo la visita in Brasile, che ciò che può fare la politica è aiutare questi progetti autonomi.
Non bisogna considerare le due cose separate, ci sono i rapporti istituzionali quanto i rapporti umani, e questi due piani entrano in contatto l'uno con l'altro e in questo sono aiutati dai governi locali.

D: Cos'è che può offrire il Brasile all'Italia, e viceversa?
R: Quello che racconta la mostra, l'incontro fra un gruppo di volontari italiani di una ONG e persone bisognose di aiuto, non è qualcosa che si verifica solo in Brasile;
il guardare alle potenzialità, l'esigenza che le cose siano belle e vere, non è possibile solo in Brasile, ma è possibile anche per me che sono italiana, vivo a Roma, e vado
ogni giorno all'università: questo è anche uno dei motivi per i quali facciamo le visite guidate alla mostra.

D: Siete mai state in Brasile?
R: No, ma il Brasile è un paese dove andremmo sicuramente, avendo adesso tanti amici sul posto.

D: Cosa pensate del progetto Ribeira Azul?
R1: Per far funzionare qualunque cosa, si deve essere dentro un rapporto: dalla mostra si vede chiaramente che il progetto di Ribeira Azul ha funzionato perchè le persone si sono coinvolte con la gente del posto.
E' quello che io desidero studiando per un esame: che ci sia rapporto con il professore che insegna, rapporto con i miei compagni di università.

R2: Questo progetto ha funzionato, basta vedere le foto, anche quelle storiche: in dieci anni sono riusciti a fare di una baia che era una fogna a cielo aperto un posto vivibile con un lungomare e una spiaggia, un posto bello dove vivere.
Ci hanno raccontato che anche coloro che vivevano in favelas hanno scoperto la nuova bellezza del luogo: chi, ad esempio, possedeva una casa con vista sul mare, era il primo a non volere che gli si costruisse davanti un'altra casa.
Basta intuire appena la bellezza che tutti la riconoscono e vogliono che anche il posto dove vivono sia bello: per questo motivo, si danno da fare per abbellirlo e renderlo abitabile.

D: Vi arruolereste mai come volontarie per una ONG o una Organizzazione No-profit, in Brasile o in altri paesi del mondo?
R1: Io sto studiando Cooperazione e Sviluppo, quindi immagino un mio futuro lavorativo in questo ambito.
Quindi sicuramente lo farei, perché non pone una barriera fra chi aiuta e chi è aiutato.

R2: Per ora, per quello che studio, non è tra i miei interessi principali.
Ciò, però, non significa che non mi interessa: ci sono vari modi per aiutare, anche con il sostegno a distanza.
Per esempio, la mia famiglia ha adottato a distanza.
La cosa che mi colpisce è che si concepisce il rapporto fra adottanti e adottato sempre non come mero rapporto economico ma come rapporto fra persone, tant'è vero che ogni sei mesi ci arriva la lettera con foto e resoconto di ciò che fanno il bambino e la sua famiglia, e anche loro richiedono informazioni sui loro sostenitori a distanza. (R1, Maria, si allontana perchè sono arrivati gli operatori del TG2)


D: Dovendo definire il Brasile con tre aggettivi, come lo definiresti?
R2: Contradditorio, perchè pieno di risorse e al contempo di ingiustizie;
ricco, anche di risorse umane, di creatività;
molto colorato, anche come temperamento umano, perchè gioioso.

Un paese di uomini.

Il mostra del progetto studentesco 'La nascita delle favelas: un caso di valore mondiale' è visionabile, nell'atrio della Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università 'La Sapienza' di Roma, fino a lunedì 26 marzo, giorno nel quale si terrà l'incontro conclusivo di questa iniziativa.
Interverranno il professore di Coordinazione e sviluppo Antonello Biagini, il coordinatore AVSI Fabrizio Pellicelli e la già citata Cleuza Ramos, rappresentante di MST.
Concluderà il Presidente della Camera Fausto Bertinotti.

mercoledì, marzo 21, 2007

Uomini Senza Terra - Cooperazione e sviluppo nella realtà contemporanea.

Brasile, anni Settanta. Si sta realizzando, in questa decade, una rivoluzione agricola di straordinaria importanza: attraverso la meccanicizzazione dell'agricoltura, reso superfluo l'impiego di una larga percentuale di forza lavoro, quest'ultima, composta da milioni di contadini abitanti dei terreni agricoli, viene congedata senza troppi convenevoli. In questo modo, come spesso accade, il progresso tecnologico ha il suo drammatico risvolto della medaglia. Milioni di persone sono costrette alla migrazione interna al paese verso aree di coltivazione su larga scala come Mato Grosso, Rondonia e Parà, zone che non possono offrire lavoro e risorse ad un numero così elevato di persone.
Di conseguenza, rivolgono le proprie speranze verso le città, anch'esse impossibilitate a soddisfare un così alto numero di richieste.
L’opinione pubblica cristiana/ecclesiastica si concentra sul problema, sempre più diffuso, dei 'trabalhadores sem terra', i lavoratori senza terra in tutela dei quali, nel '75, nasce il CPT, Commissione Pastorale della Terra, movimento social-politico di religiosi che recuperano la lezione del Concilio Vaticano II - riformismo, primato del principio ecumenico - e la applicano alla questione agricola.
Le prime grandi lotte avvengono a cavallo fra anni Settanta e Ottanta.
Il 21-24 gennaio '84 la nascita ufficiale dell'MST, Movimento Sem Terra, che adotta come principio del suo programma l'azione e l'azionismo, che si esplicita attraverso l'occupazione, a partire dal 1984, delle fazendas, le 'fattorie' brasiliane, più importanti nell'economia del Paese.
"Ocupação é a única solução", primo slogan dei Sem Terra, fu formulato nel loro primo Congresso Nazionale, nell'85.
I punti essenziali del programma del Movimento non riguardano esclusivamente i lavoratori, ma la società nel suo complesso: in primis la terra per i lavoratori, poi, unitamente a questa, la tanto discussa riforma agraria e una più complessiva trasformazione della società.
Per ottenere tutto questo, il MST non si serve esclusivamente di occupazioni e proteste, ma punta sull'insegnamento come possibilità di crescita e qualifica dei lavoratori, attraverso veri e propri programmi di alfabetizzazione e di amministrazione della produzione agricola che portino alla realizzazione di una Scuola Nazionale di Sem Terra.

La mancanza di terre da destinare ai contadini è stato, da subito, uno dei temi scottanti al centro del programma di governo del presidente brasiliano Lula, fin dall'epoca del suo insediamento nel 2002.
Uno dei leader dell'MST, João Pedro Stedile, in un'intervista del 2004 ha ricordato la promessa fatta dal presidente di insediare 410.000 famiglie prima della fine del suo mandato: attualmente Lula è al secondo mandato - è stato rieletto nel 2006 - ma non è riuscito a portare a compimento quanto promesso all'epoca del suo primo governo, realizzando una riforma agraria poco fruttuosa, e ne ripromette la realizzazione nel corso di questo suo secondo governo.
Stedile è scettico riguardo l'operato del presidente e circa il futuro riformamento del nuovo governo, ma porta avanti le sue lotte dall'MST e da Via Campesina, Movimento Internazionale Contadino che abbraccia tutte le nazioni del mondo e che coindivide con l'MST i punti programmatici fondamentali.
Nel 2005, l'MST ha proposto, come modello di riforma agraria sudamericana, il modello di Hugo Chávez, presidente venezuelano, il quale nel 2001 aveva dato vita ad una commissione nazionale con il compito di rilevare lo stato del problema terra nel paese.
"Noi le leggi le abbiamo. Quello che manca è il coraggio di mettere queste leggi in pratica" aveva detto Valquimar Reis, coordinatore nazionale dell'MST.
Quindi, una delle vie per perfezionare l'inadeguata riforma agraria sarebbe ispirarsi all'operato di Chavez, presidente sostenuto attivamente dall'MST.
L'obiettivo principale è di democratizzare l'uso della terra, perchè "la terra è come l'aria, è come l'acqua, che non può essere proprietà privata di nessuno".

Più terra, più produzione e produttività. Più produttività, più ricchezza: per il paese e per i contadini.
Il problema della povertà è, da sempre, uno dei problemi più spinosi della realtà brasiliana, malgrado le potenzialità di questo Paese siano enormi: comparandolo all'Italia, è 32 volte più grande - oltre ad essere lo stato più grande del Sudamerica - vanta ricchezza di materie prime - minerali preziosi e non - e di bioalternative al petrolio - l'etanolo - che ne fanno un paese autosufficiente sul piano di queste risorse, l'unico paese non-Opec a dichiarare, nel 2006, l'autosufficienza da petrolio.
Eppure, in una realtà come questa, i dati parlano chiaro: oltre 174 milioni di abitanti, dei quali un 81% insediato nelle città e un esiguo 19% nelle campagne.
Questo vuol dire, in sostanza, sovrappopolazione insostenibile delle città, spopolamento e abbandono delle campagne, e ulteriore povertà, oltre che inadeguatezza dei servizi pubblici.
Questi problemi, in particolar modo, riguardano il Nordeste del Brasile, vale a dire quella vasta area che comprende molti stati, fra i quali Bahia, Ceará, Rio Grande do Norte e Sergipe: una delle aree più popolose, con il Sudeste di São Paulo e Rio de Janeiro.
Centro nevralgico di nuove iniziative volte alla cooperazione politica e sociale in materia di povertà e sviluppo è Salvador de Bahia, capitale dello Stato di Bahia, città nella quale è stato realizzato il famoso progetto 'Ribeira Azul'.

Cos'è 'Ribeira Azul'?
Ribeira Azul è, anzitutto, un progetto che "parte da una visione integrale dell'uomo", come ha affermato Paulo Souto, governatore dello Stato di Bahia.
'Visione integrale' che implica una conoscenza approfondita e metodologica dell'ambiente nel quale si opera, della popolazione e delle sue esigenze di vita, che comprendono nuove infrastrutture e servizi sociali utili.
Il progetto è partito in una favela - la Ribeira Azul, appunto - che attualmente conta 135.000 abitanti, 35.000 famiglie che vivono con un reddito medio mensile di 140 reais, equivalenti più o meno a 40 euro, e ospita il 15% della popolazione povera di Salvador.
Oltre ad avere una caratteristica che la rende ancora più precaria: è costituita da palafitte che, come in tutte le favelas, sono prive di qualsiasi tipo di servizio igienico-sanitario, così come di luce, gas e acqua.
Sono case illegali, case non di proprietà, abitazioni che per loro natura dovrebbero essere temporanee e sono, invece, permanenti.

Dal '93, grazie all'attività di cooperazione dell'AVSI, Associazione Volontari del Servizio Internazionale, le cose stanno cambiando.
In primo luogo, sono state costruite ex novo o ristrutturate 11 strutture sociali e sono stati attuati 15 progetti sociali rivolti sia ad adulti che bambini.
Per quanto riguarda i servizi igienico-sanitari, la rete fognaria è stata ampliata del 75% nel 2005, mentre per quanto riguarda le abitazioni, sono state costruite 2936 nuove case e ristrutturate 250, permettendo a molti abitanti delle palafitte di trasferirsi e permettendo l'abbattimento di 794 palafitte.
Tutto questo è stato possibile grazie al grande coinvolgimento di imprese, associazioni, ad uno stato, l'Italia, e grazie al coinvolgimento degli abitanti in prima persona, che ha permesso di affrontare il problema con una 'visione integrale dell'uomo'.

In Brasile, molte cose si stanno muovendo, e l'opinione pubblica sembra rendersene conto.
Per dirla con la parole di Stedile: "Questo non è tempo da piantar lattughe, ma alberi. Uno di questi giorni daranno i loro frutti".
In modo tale da avvicinarsi sempre di più al mitico ordem e progresso.
It's a long way to the top.



Per finanziare la realizzazione della Scuola dei Senza Terra:

- sul c/c bancario del Comitato di appoggio al MST: n. 00000100281 intestato a
Benedetta Malavolti e Francesca Carbonari, ABI 05018, CAB 12100 Banca Popolare Etica,
Piazzetta Forzatè 2, 35137 Padova

- su c/c bancario n°4665/09, intestato a "Rete Radié Resch", Banca di
Credito Cooperativo di Vignole, 51038 OLMI (PT)

- su c/c postale n°11468519, intestato a "Notiziario della Rete Radié Resch",
via Piave 22 - 51039 Quarrata (PT)



Fonti:

Il governo brasiliano e la questione agricola:
http://www.kataweb.it/news/item/263684/brasile-lula-nei-prossimi-4-anni-difendero-i-poveri
http://noticias.uol.com.br/bbc/2005/01/12/ult2363u1771.jhtm
http://www.comitatomst.it/stedin70.htm

CPT:
http://www.cptnac.com.br/

Trabalhadores Sem terra:
http://www.mst.org.br/mst/
http://www.comitatomst.it/
http://www.zmag.org/content/showarticle.cfm?SectionID=48&ItemID=5116
http://pt.wikipedia.org/wiki/Movimento_dos_Trabalhadores_Rurais_Sem_Terra
http://web.quipo.it/mst/spinelli.pdf
http://www.mstbrazil.org/
http://www.comitatomst.it/salginte.htm
http://viacampesina.org/main_en/index.php
http://www.instituto_terra.or/
http://www.zmag.org/Italy/stedile-riformaagraria.htm

AVSI - Brasile (Bahia)
http://www.avsi.org/Dinamico/main/NewsDettaglio.asp?ID=217
http://www.avsi.org/documenti/ProgettoRibeira.pdf
http://www.conder.ba.gov.br/ribeira.htm
http://www.mstbrazil.org/?q=viacampesinamarch07cargillethanol

Materiale fotografico:
http://www.terra.com.br/sebastiaosalgado/
http://www.dweb.repubblica.it/dweb/2002/09/28/attualita/attualita/082sal31982.html

sabato, marzo 17, 2007

Roma, l'ultima scommessa veltroniana: il biodiesel. Ritardo italiano e avanguardia brasiliana

Il 16 marzo, dopo un iter istituzionale durato oltre un anno che ha portato nel 2005 ad una proposta di legge popolare, è stato firmato un accordo fra Comune di Roma e Regione Lazio che sancisce la produzione massiva, e l'impiego nel settore dei trasporti pubblici, di biocarburanti.
Questi, grazie al supporto politico-istituzionale del comune e di enti agricoli quali Coldiretti, Confagricoltura, Cia, Confcooperative e Legacoop, nel 2009 sbarcheranno nella Città Eterna in fase sperimentale.
Forte promotore di questa tardiva rivoluzione biotecnologica, il sindaco di Roma Walter Veltroni ha firmato un programma di sfruttamento e riciclo di oli, sia di provenienza domestica, oli esausti raccolti attraverso la raccolta differenziata, che di coltivazione.


Si tratta non di oli impiegati allo stato puro, come ad esempio l'olio di colza, ma di oli trattati chimicamente con aggiunta di alcol: attraverso questo processo, diventano biodiesel.
Ma il biodiesel non è una scoperta recente.
Risale al 1853, ad opera degli scienziati statunitensi Duffy e Patrick, e utilizza olio di arachidi: significativo ricordare che la scoperta del biodiesel è antecedente all'invenzione del motore Diesel, e che Rudolf Diesel vi si ispirò.
E' evidente che all'epoca, in un'era post-Rivoluzione industriale, il problema ambientale avesse iniziato ad essere un problema quanto mai reale e tangibile.
Tanto più al giorno d'oggi.

Nel caso italiano, notevoli sono le conseguenze in campo ambientale quanto in campo economico e occupazionale.
Lo ha evidenziato il consigliere comunale dell'Ulivo Eugenio Patanè, in prima linea nelle politiche ecologico-ambientali: Patanè ha stimato che, grazie all'impiego di biocarburanti e biodiesel, diminuerà del 20% l'inquinamento causato da CO2* e da TPL*, verrà incrementata la coltivazione di 10mila ettari di terreni agricoli e, conseguentemente, aumenterà l'occupazione lavorativa.
Oltretutto, attraverso questa innovazione biotecnologica, l'Italia terrà fede a quanto sottoscritto nel Protocollo di Kyoto, al quale ha aderito nel maggio 2002.
Il Protocollo sancisce l'obbligo delle nazioni aderenti di ridurre le proprie emissioni di gas a effetto serra del 5% rispetto ai dati 1990 e, nel complesso, dell'8% nel periodo 2008-2012.
Impresa ardua, se si considera che le nazioni, nel complesso, immettono nell'atmosfera 6 milioni di megatonnellate (MT) di CO2.

E' evidente quanto un'altra nazione, aderente anch'essa al Protocollo di Kyoto, sia avanti a noi anni luce: il Brasile.
Qui, i biocarburanti, sfruttati a livello di massa e non in settori circoscritti, sono conosciuti e utilizzati su larga scala fin dagli anni Settanta.
Prodotto fondamentale per la loro produzione è la canna da zucchero, uno dei prodotti agricoli più coltivati nel territorio brasiliano e, secondo molti, la fonte biodiesel del futuro.

Ma il miracolo è possibile anche da noi, anzichè attraverso l'alcool estratto dalla canna da zucchero attraverso l'olio estratto dai girasoli, e non solo.

Si stima che, nel 2007, gli ettari di terreno coltivati per la produzione di materie prime destinate al settore biocombustibili siano solo 10mila. Cifra ridicola se comparata con quelle delle altre nazioni dell'Unione Europea, anch'essa all'avanguardia: 1900 stazioni di distribuzione biodiesel in Germania, l'obiettivo di portare ad un milione di ettari i territori coltivati per la produzione di biocombustibili in Francia.
Le cifre generali dell'Unione Europea sono rassicuranti: l'aumento di produzione del biodiesel, nel 2006, è arrivato a quota +35%, ed è previsto il raddoppiamento di produzione di biocarburanti, anche se l'adeguamento agli standard richiesti dal Protocollo è ancora lontano.
L'Italia, quindi, avverte l'esigenza di un sviluppo in tale direzione sia per adeguarsi a quanto sancito a Kyoto sia per adeguarsi agli standard europei, di molto superiori.

Nel frattempo, il Brasile si prepara a diventare "l'Arabia Saudita del 21esimo secolo", così come recita lo slogan dell'Unica, l'Uno da Industria Canavieira: grazie allo sfruttamento di etanolo* estratto dalla canna da zucchero, prodotto del quale il paese produce più di 387 milioni di tonnellate all'anno, l'aspirazione brasiliana ci appare tutt'altro che ambiziosa.

In Brasile, in questo settore sono investiti 700 milioni di dollari provenienti da investitori di ogni parte del mondo.
Per non parlare dell'impatto che questa tecnologia ha avuto sui produttori di automobili: i grandi produttori hanno creato motori flex fuel, a 'carburante flessibile', che permettono l'impiego di comune benzina come di biocarburanti e biodiesel vari, primo fra tutti la canna da zucchero.
Attualmente, la maggior parte dei veicoli con motore flex fuel è prodotta e poi esportata in Brasile, ma la situazione cambierebbe radicalmente in caso si diffonda a livello di massa, vale a dire a livello significativo nell'industria automobilistica come in quella TPL: in tal caso, anche da noi verrebbero lanciati nuovi modelli di auto adeguati ai nuovi standard ecologici e aziende come la Fiat, che attualmente esportano in Brasile, amplierebbero il proprio mercato in loco.
Vantaggi ecologici, crescita economica, sviluppo agricolo, aumento dei posti di lavoro.

Gli USA fiutano l'affare: il 7 febbraio 2007 stipulano un accordo con il paese per l'esportazione di etanolo e biodiesel, per iniziare un processo di progressiva emancipazione dal petrolio, materia prima in forte crisi e vertiginoso rincaro del prezzo, attualmente superiore ai 60 dollari al barile.
Un mese dopo, il 14 marzo, l'ANSA annuncia che Steve Case e Vinod Khosla, due degli imprenditori statunitensi più potenti e influenti al mondo, investono in un fondo complessivo di 2 miliardi di dollari destinato in Brasile.
Il 15 marzo, il giornale brasiliano O Globo riporta la dichiarazione di Barack Obama, candidato democratico alla Casa Bianca in lizza con Hillary Clinton, il quale afferma che “il Brasile ha fatto un eccellente lavoro sollecitando la propria industria di combustibili alternativi”, aggiungendo che “gli Stati Uniti devono seguire questo esempio” e puntando tutto sull’industria del mais, prodotto della cui produzione gli Stati Uniti sono leader mondiali.
In questo modo, pensa Obama, perderanno una forte percentuale del loro peso economico paesi pericolosi per gli USA come Venezuela e Arabia Saudita.

Emblematica di questa speranza degli USA è l’alleanza di Bush con Lula, presidente brasiliano di sinistra moderata nonché potente avversario interno di Chavez, presidente venezuelano in carica.


Alleanze politiche strategiche, dibattiti internazionali, forti investimenti per il futuro, biomasse e ecosostenibilità.

E l’Italia, ahinoi, è ancora al punto di partenza.


*: anidride carbonica;
*: Trasporto Pubblico Locale;
*: alcol etilico;


Fonti:

Industria biodiesel Italia:
http://www.enea.it/
http://www.biofuel.it/it/introduzione.asp
http://www.agrimodena.it/news/leggebiodiesel.html
http://www.agrimodena.it/varie/propostaleggebiodiesel.pdf
http://www.eugeniopatane.it/materiali/eventi/biodiesel-repubblica.pdf
http://www.eugeniopatane.it/materiali/eventi/Unita-ecodiesel.pdf


Protocollo di Kyoto:
http://www.legambiente.org/campagne/ecolampadine/allegati/protocolloKyoto.pdf


Industria biodiesel Brasile:
http://oglobo.globo.com/economia/mat/2007/03/15/294940776.asp
http://www.portalunica.com.br/portalunica/
http://www.greenpeace.org.br/tour2004_energia/renovaveis.php?pagina=biocombustiveis
http://www.anp.gov.br/petro/GT_biodiesel.asp
http://www.agronegocios-e.com.br/agr/down/artigos/Pol_Agr_1_2005_Art06.pdf
http://www.polobio.esalq.usp.br/
http://www.ider.org.br/oktiva.net/1365/nota/17355/
http://noticias.uol.com.br/ultnot/efe/2007/03/16/ult1808u87826.jhtm
http://noticias.uol.com.br/economia/ultnot/efe/2007/03/16/ult1767u88769.jhtm
http://noticias.uol.com.br/economia/ultnot/valor/2007/03/14/ult1913u66068.jhtm

Industria biodiesel USA:
http://it.biz.yahoo.com/14032007/2/usa-steve-case-vinod-khosla-investono-etanol.html
http://today.reuters.it/news/newsArticle.aspx?type=topNews&storyID=2007-03-09T184503Z_01_COR961767_RTRIDST_0_OITTP-BUSH-CHAVEZ.XML
http://www.ansa.it/ecoenergia/notizie/rubriche/biomasse/20070207124834193609.html

giovedì, marzo 15, 2007

Il trionfo del 'bambino' freudiano. Psicanalisi e cronaca italiana contemporanea

Lo diceva Freud, a proposito della natura del bambino, e dell'essere umano più in generale: il bambino è un essere naturalmente narcisista, autoreferenziale e concentrato sulla soddisfazione di bisogni primari, siano essi sessuali, alimentari o di altro tipo.
Sembrerebbe, a proposito della gioventù italiana così come ci appare nei quotidiani, che questi giovanissimi uomini e donne siano, prendendo per vero ciò che affermava Freud agli inizi del secolo, bambini cresciuti poco e male.

Ma ritorniamo con la mente alla fine del 2006.
Lombardia, scuola superiore - Un ragazzo down viene filmato mentre alcuni suoi compagni di classe prima lo scherniscono, poi lo picchiano.
Il filmato finisce su GoogleVideo sotto la dicitura 'Video divertenti' e, in tre minuti e nove secondi, mostra al mondo violenza fisica e psicologica ai danni di un indifeso, con contorno di revival nazofascisti come di rigore nelle squadriglie di violenza degli anni Trenta e Quaranta.
E' subito scandalo, sia per l'identità della vittima - un ragazzo down - sia per l'aggressività e l'odio con i quali ragazzi apparentemente qualunque vi si scagliano contro, sia per la complicità connivente e silenziosa degli altri compagni di classe, spettatori non partecipi ma impassibili di fronte alla scena.

La storia si ripete.
Gennaio 2007, Lecce, istituto scolastico privato - Una professoressa viene filmata in classe mentre alcuni studenti le toccano il fondoschiena.
In questo caso il filmato, sotto la dicitura 'Professoressa Monteroni', viene pubblicato su YouTube, grande network di pubblicazione video, visto da migliaia di utenti da tutto il mondo e prontamente rimosso.
Il caso diventa subito nazionale: la professoressa in questione, interpellata sulla faccenda, afferma di essere lei stessa vittima delle molestie e di aver respinto le avances.
Oltretutto, dal bordo dei pantaloni che indossa, fa capolino un perizoma.
Infuriano polemiche sia su una presunta accusa verso ignoti per atti sessuali con minori, che sull'abbigliamento, giudicato eccessivamente provocante, della giovane professoressa di matematica.

Quasi in contemporanea, la cronaca riporta un fatto analogo, questa volta avvenuto a Mestre: uno studente viene filmato mentre si abbassa i pantaloni rimanendo in mutande davanti alla prof e alla classe che ride.
Stavolta nessuna sanzione verso lo studente o verso chi ha filmato la scena, ma la sostanza è sempre la stessa: un'azione oltraggiosa ripresa on live.
E non è finita.

25 gennaio 2007 - San Benedetto del Tronto,
Istituto Tecnico Commerciale “A. Capriotti”: due studenti fanno sesso orale in aula durante un'assemblea di classe, ripresi con il telefonino e incitati dai compagni di classe, non tutti consenzienti ma presenti.
Le foto e i filmati sono immediatamente inviati via mms e, in breve, tutta la città e i dintorni sono informati dei fatti.
Come reagiscono gli adulti a questo stato di cose?
Giudicano severamente e, se in potere di farlo, promulgano leggi che tentano di arginare il fenomeno del baby narcisismo, secondo molti autentico movente delle azioni-scandalo.
Strumento di massima espressione del narcisismo contemporaneo e tecnologizzato è, accanto a risorse web come YouTube e GoogleVideo, il famigerato videofonino.
Videofonino il cui uso in aula è stato severamente vietato, pena 15 giorni di sospensione, da un disegno di legge recentemente presentato e approvato dalla Camera.

«Siamo così impotenti da dovere ricorrere ad una legge? Sì, lo siamo, lo ammettiamo, e le leggi servono per questo», ha dichiarato Alba Sasso, vicepresidente della commissione Cultura della Camera.
Già, impotenti: perchè, d
i fatto, gli adulti non sembrano essere in grado ad arginare una gioventù sempre più aggressiva e maleducata.
A quali conseguenze può portare questo senso di impotenza?
20 febbraio 2007, Milano, scuola elementare a San Siro: un'insegnante di sostegno, esasperata dalla presunta irrequietezza di un alunno, gli taglia la lingua con un paio di forbici.
L'insegnante si difende asserendo che è stato un incidente, mentre il Ministro della Pubblica Istruzione Giuseppe Fioroni reagisce duramente: la maestra, al primo anno di insegnamento, dev'essere licenziata.

«Parli troppo, tira fuori la lingua, che te la taglio»: un'affermazione scherzosa, secondo la maestra, minacciosa secondo la vittima.
Si tratta di un conflitto che va più in là del semplice conflitto generazionale: l'impressione è che gli adulti abbiano paura di bambini e adolescenti, e non solo in ambito scolastico.
Citando un fatto di cronaca avvenuto nel febbraio 2004: in una biblioteca comunale di Milano, una guardia giurata punta una pistola calibro 45 priva di sicura alla tempia di un bambino, uno di quei bambini che i genitori continuano a definire 'solo un po' vivaci'.
Certo, il fatto risale a tre anni fa, ma mai come oggi è attuale, in un'epoca di bambini 'terribili' e adulti attoniti.
Sperando che non restino attoniti troppo a lungo.

Fonti:
Repubblica: 1 - 2 - 3 - 4
Corriere della Sera: 1
SkyLife - Tg24: 1
AffariItaliani: 1
FLC Federazione lavoratori della conoscenza: 1

martedì, marzo 13, 2007

Who? Where? Why? When? What?

Rispondiamo con ordine a domande più che legittime.

Chi è che scrive?
Chi scrive è una studentessa universitaria di vent'anni, residente a Roma, che scrive e fotografa come mangia e respira. E legge molto, perchè uno scrittore è prima di ogni altra cosa un lettore. O una lettrice.

Dove scrive?
Dovunque, ma solitamente in una metropoli né grande né piccola: grande rispetto alle lillipuziane città italiane, minuscola rispetto alle metropoli-termitai nel resto del mondo. Sì, perchè Roma è solo una meraviglia fra tante meraviglie: e bisogna esserne consapevoli.

Perchè scrive?
Scrive per due motivi:
1- sfogare un bisogno fisiologico. A questo motivo fa capo il suo blog personale.
2- mettersi al servizio della verità, della comunicazione e della trasparenza. A questo motivo fa, invece, capo questo blog.

Quando scrive?
Sempre, grazie al supporto cartaceo di una Moleskine sempre a portata di mano e, quando sprovvista, scrive mentalmente, costruisce frasi più o meno logiche e le serba per il momento giusto.

Cosa scrive?
L'oggetto dello scrivere è di volta in volta diverso:
onirico, fantasioso, psicologico quanto reale nel blog personale;
reale, concreto, fattivo in questo blog.
Ci sono tempi e luoghi adeguati per scrivere ciò che si desidera.
Basta averne la netta percezione.


Detto ciò, lascio la parola ai fatti e alle immagini.